LA KRÖNUNGSMESSE K 317 DI MOZART

"Credere significa liberare in se stessi l'indistruttibile,
o meglio: liberarsi, o meglio ancora: essere."
Franz Kafka

Quanti sogni infranti in quel gennaio del 1779.Chissà quale stato d’animo poteva avere Mozart in quell’inverno, allorché, dopo un anno e mezzo passato a Parigi e Mannheim a cercare nuove opportunità, dovette rassegnarsi a riprendere servizio come organista presso il detestato Arcivescovo Colloredo di Salisburgo. Era allora un giovane di23 anni e aborriva più di ogni altra cosa quella grigia routine che il modesto stipendio annuo di 450 fiorini faceva facilmente intravedere: che delusione tornare a casa in quel modo!

A Mannheim, una delle corti musicali più evolute d’Europa, aveva fatto di tutto: aveva insegnato, suonato, composto, stretto amicizia con diversi musicisti e si era innamorato di Aloysia Weber, un giovane promettente soprano; sorella della sua futura moglie. A Parigi, invece, nei mesi estivi aveva avuto qualche buon concerto ma si ritrovò presto senza soldi e con la madre seriamente malata: morì a luglio e fu seppellita a Saint Eustache. Sulla via del mesto ritorno a casa Mozart si fermò a Monaco dove incontrò nuovamente Aloysia: aveva avuto successo, ormai era impegnata e non aveva più alcun interesse per quel disoccupato di Salisburgo.

Tra le prime pagine che Mozart si mise a comporre una volta tornato a casa vi è la Krönungsmesse K317. Molti temi di questo sofferto ritorno a casa sono racchiusi in questa Messa: i nuovi orizzonti di Mannheim, l’amore per Aloysia e la difficile sopportazione dei limiti che Salisburgo gli imponeva.

Ciò che colpisce nella scrittura della Krönungsmesse è infatti la sproporzione tra il contenuto e la realizzazione: si tratta di una Missa Solemnis compressa in una Missa Brevis. La solennità della scrittura corale, la densità del contrappunto vocale che a tratti emerge, la libertà con cui sono trattati alcuni topoi della Missa ci dicono che Mozart voleva molto più di quanto non potesse. Voleva molto più di quanto l’obbligo tassativo di contenere la durata della funzione religiosa entro 45 minuti non consentisse; voleva molto più di quello che la scarna orchestra di Salisburgo (con pochi fiati e senza viole) non permettesse; voleva un’occasione di maggior prestigio che non fosse una celebrazione pasquale di periferia; voleva, voleva, insomma…ma non poteva.

Mozart aveva nell’orecchio e nella mano molto più di quello che a Salisburgo si era in grado di realizzare in termini di musica sacra: molti avranno notato allora, in quell’inverno del 1779, che questo lavoro era superiore a quelli che aveva scritto negli anni precedenti; eglisentivainvece che era ancora incomparabilmente inferiore a quello che era in grado di comporre.

Liberato da questi vincoli, Mozart mostrerà con precisione quale fosse la differente scala in cui egli ormai ragionava: solo un paio d’anni più tardi, a Vienna, scriverà la Große Messein do minore K 427, in cui ogni cosa appare moltiplicata rispetto alla Krönungsmesse. Dura circa il doppio, l’orchestrazione è finalmente ampia e completa, la condotta vocaleaudace, il doppio coroschiude nuove possibilità contrappuntistichee la pregnanza di alcuni numeri è assolutamente inedita: un lavoro rivoluzionario che Mozart scriveràper ragioni private senza una committenza e che, forse anche per questo, rimarrà incompiuto.

Tornando alla Krönungsmesse; vi sono alcuni momenti nella partitura che da sempre trovo commoventi; essi testimoniano infatti al massimo grado il principale talento di Mozart: l’empatia. Ovvero la capacità di immedesimarsi  nei pensieri, nei sentimenti e nelle situazioni degli uomini e delle donne che vivono sul grande palcoscenico della vita.

Non vi era situazione, per quanto lontana dal suo vissuto personale, che Mozart non sapesse rivivere in prima persona con spontanea partecipazione e se questa capacità è ben nota e riconoscibile nel suo teatro, essa appare ai miei occhi ancor più sorprendente nella sua musica sacra.Un uomo pratico, una natura sensuale incline ai piaceri materiali –dalle donne al gioco d’azzardo – un uomo sostanzialmente privo di qualunque cultura specifica e tantomeno di alcuna cultura religiosa, Mozart riesce tuttavia a immedesimarsi nei concetti più astratti e trascendenti con sorprendente profondità: la verginità di Maria, il farsi uomo del Cristo,il suo sacrificio, l’ambiguità di Pilato. Ogni passaggio è reso con tale evidenza emotiva da diventare prossimo e accessibile nel modo più immediato, senza che tale vicinanza, d’altra parte, ne banalizzi o sminuisca l’aura trascendente.

Alcuni esempi pratici.L’Incarnatus est, nel mezzo del Credo,arriva del tutto inaspettato: il Credo procede nel suo trionfante do maggiore  - Allegro molto- in una sorta di gioioso moto perpetuum degli archi, che,nel verso immediatamente precedente – descendit de coelis – perviene a un grandioso contrappunto antifonale di carattere alleluiatico. Ma, senza alcuna preparazione, Mozart interrompe tutto questo entusiasmo.

Ecco l’interessante manoscritto:

Un cambio di luce improvviso: Adagio!Siamo su una dominante di fa minore, gli archi con sordina sono come un soffio gelido ele voci soliste intonano un immobile controcanto. Il verso “Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine” è reso in modo perturbante; l’armonia allude a un inatteso dramma possibile (fa minore) al quale tuttavia non approdiamo; siamo come sospesi, né felici né tristi. In queste tre battute (60, 61, 62), in cui le voci sono tutte in una tessitura piuttosto bassa, la nota più alta (mi bemolle) la canta il soprano sulla parola “Virgine”: sul concetto più alto e misterioso Mozart mette la nota più alta; un punto di luce. Mozart si sposta qui su un accordo debole - quarta e sesta di la bemolle maggiore - e nella battuta successiva finalmente l’armonia risolve, lasciandoci però inizialmente incerti: il luminoso la bemolle che sentiamo è una tonica o una sottodominante? Mozart ripete due volte la parola homo nel verso successivo “et homo factus est” e sulla ripetizione della parola,compie questa modulazione, dall’incertezza verso la luce. La musica improvvisamente ritrova un calore umano; ora capiamo, siamo andati da do maggiore a mi bemolle maggiore: attraverso l’inconcepibile una mano ci ha guidato a ciò che ci è familiare.

 

Esistono senz’altro altri lavori sacri in cui l’Incarnatus est è reso in modo più spettacolare – appunto la Große Messein do minore - ma non conosco un’altra resa più profonda e al contempo sintetica del significato di questo verso. In quattro battute (quattro!) Mozart descrive un miracolo: il disorientamento e il timore al cospetto dell’incommensurabile (battute 60, 61 e 62), l’incertezza che precede il credere (prima parte di batt. 63), il salto razionale che richiede la Fede e infine il calore che essa concede (batt. 63 e 64). Mozart non era teologo e a parole non avrebbe saputo dire nemmeno la metà delle cose che qui la sua musica delinea con disarmante precisione: Mozart, qui, sa,con la musica, prima di conoscere con il pensiero.

Le battute che seguono sono tra le più potenti dell’intera partitura: l’accento drammatico della scena della crocefissione – crucifixus etiam pro nobis, sub Pontio Pilato – culmina con una sofferta cadenza evitata sul nome di Pilato (batt. 68), dal cui dolore promanano le ultime terribili parole che Mozart fa ripetere al coro in un sussurro disperato: passus, passus, passus et sepultus est, sepultus est.

Un altro momento eccezionale in questa Krönungsmesseè il passaggio tra il Benedictus e l’Agnus Dei.

A ben guardare non è nemmeno un momento musicale; è un momento di completo silenzio!

Quando si esegue la Krönungsmesseinconcerto,può sfuggire facilmente il punto fondamentale: l’Eucaristia ha luogo proprio qui, in questa pausa tra il Benedictus e l’Agnus Dei.

Ogni movimento di questa Missa inizia in do maggiore, tranne questo Agnus Dei che inizia in fa maggiore.Non siamo in una tonalità vicina: siamo nella tonalità in assoluto più vicina. C’è solo una nota di differenza: praticamente non ci siamo mossi. L’atmosfera èperò sideralmente lontana; è una musica che sembra venire da un altro mondo!È difficile spiegare con gli strumenti dell’analisi ciò che qui realmente accade: Mozart non fa nulla di speciale. Armonicamente niente di speciale, formalmente niente di inatteso: da una cadenza in do maggiore si passa a un cantabile in fa maggiore! Eppure quegli archi con la sordina, quell’oboe che commenta osservando dall’alto come fosse un angelo, i corni che in pianissimo donano profondità, l’assenza delle viole che rende il tutto vagamente primitivo: siamo davvero rinati a nuova vita.

Il do maggiore dell’Osanna precedente ci parlava del Dio creatore dell’Universo, del grandioso Dio che domina la volta celeste, dell’Onnipotente che troneggia tra schiere di angeli; questo fa maggiore, così vicino eppure così diverso, ci parla invece della consolazionecui ognuno anela nel bisogno, di quel punto di riferimento interiore che ci guida nella sofferenza; ci parla di un Dio che sta nel cuore dell’uomo e non più nell’alto dei cieli.

Mozart ha scritto questo Agnus Dei per Aloysia Weber di cui era ancora innamorato; questo solo è un omaggio alla sua voce. E l’intera conclusione della Krönungsmesse, che da questo solo prende il via, ha così l’inconsueto sapore di una scena teatrale, in cui, il Dona nobis pacem del coro pare più il saluto alla protagonista femminile che il suggello di un percorso mistico.

Mozart illustral’esperienza escatologica cristiana, attingendo… al suo vissuto di spasimante deluso. E vi riesce in modo efficace!

Molti commentatori, infine, hanno notato l’innovazione rappresentata dal ritorno del tema del Kyrie nel Dona nobis pacem finale. Notare tale ricorrenza non è d’altra parte sufficiente: per Mozart la “forma ciclica” non esisteva, né stabilire relazioni tematiche tra momenti diversi di una composizione era in alcun modo un valore in quanto tale.Dunque perché di nuovo questo tema? E come ritorna?

Ritorna identico, da un punto di vista melodico; ma non metrico. All’inizio dellaKrönungsmesse, nel Kyrie, era in levare (Più andante, batt. 7), ora è in battere (Andante con moto, batt. 57):adesso  suona finalmente pacificato, ha trovato la sua giusta collocazione, la sua definitiva posizione nel mondo. Nell’invocazione iniziale del Kyrie sembrava tutto giusto; ora ci accorgiamo che mancava qualcosa. Qualcosa che solo l’esperienza dell’Agnus Dei ci ha potuto dare. Credevamo di essere completi, invece solo ora, che lo siamo veramente, ci accorgiamo che qualcosa di essenziale mancava: avevamo tutti gli elementi ma non riuscivamo a metterli nella giusta prospettiva.

Non conosco una rappresentazione musicale della Fede più antiretorica di queste poche, semplici battute mozartiane;del ritorno di questa pura melodia in cui tuttoè come prima ma nulla è più come prima.